martedì 14 giugno 2016

La corruzione e la crescita

La mattina del 10 giugno su La7, in una famosa trasmissione politica, è stato mandato in onda un video di Giachetti: il candidato sindaco a Roma per il PD parla alla sua avversaria Virginia Raggi con un discorso un po' criptico e nello stesso tempo sconcertante.
Il succo era "Cara Raggi,  non vuoi fare le Olimpiadi per via della corruzione, ma allora anche gli appalti, ma allora anche i precari non si possono assumere, voi sapete dire solo di no".
Il discorso tendenzioso tende ad associare il M5S ai Verdi degli anni '90, come fronte del no.
Peccato che i Verdi si opponevano a tecnologie che erano in uso nel resto dei Paesi occidentali (termovalorizzatori in primis) mentre la corruzione è meno diffusa negli stessi Paesi.
Cosa c'entra il "no" con la corruzione?
E' accettabile che Giachetti, parafrasando Garibaldi ed il suo "Roma o morte", voglia far passare il motto "Corruzione o niente"?
Da dove proviene questo giustificazionismo che ci allontana sempre più dai valori democratici, dai Paesi occidentali ed infine distoglie imprenditori (quelli veri, non i padroncini) italiani ed esteri dal fare impresa in Italia?
La "giustificazione" sta nel modo in cui si ottengono i voti in Italia: dai favori.
Infatti, mentre la trasparenza porta i cittadini a votare un politico sulla base della fiducia e sulla soluzione dei problemi, in Italia i "favori" portano la classe politica a campare di rendita usando il denaro pubblico ed i contatti come merce di scambio per acquistare i voti, in modo così da sfuggire al controllo democratico.
Sì, perché quando il voto del cittadino non è imparziale, di fatto il cittadino non controlla più i suoi governanti e quindi abdica dalla sua sovranità democratica.
Ma i cittadini non lo capiscono? Non capiscono di vivere in un sistema marcio e puzzolente che crea soltanto paura ed incertezza per i propri figli, i quali rischiano di diventare barboni qualora non dovessero trovare "l'aggancio" da adulti?
Ebbene, il motivo per cui alcuni cittadini accettano questo sistema risiede nel declino trentennale dell'economia italiana.
In Italia non è possibile fare business, arricchirsi, se non facendo il palazzinaro o ottenendo appalti (truccati); altro che innovazione, società digitale etc.
Ma la mancanza di crescita e dinamismo economico crea anche l'impossibilità di sostenere nuove assunzioni o aumenti stipendiali, perciò anche le fasce sociali "medie" o popolari hanno bisogno del posto pubblico all'ATAC per poter sopravvivere.
Nelle provincie benestanti del Nord Italia questa problema è meno diffuso, in quanto è ancora possibile trovare un posto di lavoro nel settore privato "senza aiutini" quindi la mentalità è più dignitosa.
Nel centro-sud, sulla mancanza di crescita economica la classe politica marcia ci sguazza: può sfuggire dal controllo dei propri cittadini e mettersi lì a fare i padreterni, a spartirsi i soldi coi palazzinari, a diventare dei feudatari che danno i posti di lavoro; ad esercitare un potere puro, un po'
come quella scena del Capo dei Capi in cui Riina dice che devono essere loro a decidere "quello fa i pìccioli, e quell'altro invece muore di fame".
Vorrei ricordare che l'Italia negli ultimi vent'anni ha visto un calo di produttività e di competitività perciò le retribuzioni, specialmente per il personale specializzato, sono scandalosamente più basse che nella maggior parte dei Paesi europei.
Non è che per caso si colpisce di proposito il sistema della produzione industriale?
Così che la gente non abbia la via di fuga dalle corruttele?
Da non "grillino" condivido la battaglia alla corruzione del MoVimento, ma bisogna essere consapevoli che finché non ci sarà crescita economica nel settore privato, sarà difficile estirpare questo male.
Non ritengo che al momento il MoVimento abbia un programma di crescita economica credibile, che non può essere la "decrescita felice" (la recente recessione non è stata affatto felice) od il reddito di
cittadinanza che altro non è che tamponare l'emorragia di posti di lavoro, anziché pensare a crearne di nuovi.

giovedì 2 giugno 2016

La Festa della Repubblica

L'ispirazione di questo post mi è venuta pochi minuti fa.
Non mi è venuta per la ricorrenza odierna della Festa della Repubblica Italiana, ma per caso.
Infatti saranno anni che di questa festa non me ne importa proprio niente, ed anzi per me, come per tanti altri giovani specie nel Sud, era festa anche ieri e sarà festa anche domani, perché tanto siamo disoccupati.
Essendo però oggi la festa della Repubblica, non c'è giorno più appropriato per pubblicare questo mio pensiero.
Chiarisco che questa non è una mia convinzione ferrea, ma certe volte mi chiedo se non sarebbe meglio per noi meridionali far parte di uno Stato autonomo.
Infatti mi vengono subito in mente Gaetano Salvemini ed Antonio Gramsci, gli intellettuali più importanti che hanno trattato l'annoso tema della "Questione Meridionale".
Il potere politico di allora, quanto quello di oggi, con una continuità ed una compattezza esemplare (alla faccia di chi dice che l'Italia è ingovernabile), e le élite di ieri quanto quelle di oggi, dall'alto della loro raffinatezza, della loro profonda cultura, intelligenza ed umanità, mossi sempre e solo da uno spirito illuminato e filantropo, hanno sempre risposto al tema della questione meridionale con un raffinatissimo ed ineffabile atteggiamento del tipo: "Ma che cazzo vogliono questi terroni?"
Il che è descritto in una forme sublime dalle parole sacre del mitico Giobbe Covatta che, in uno sketch comico con Paolantoni, diceva: "Non siamo noi che siamo razzisti, sono loro che sono napoletani!".
E giù a ridere! E sì, per dire la verità è meglio farci una risata sopra.
E non dimenticherò mai, quando ero su al Nord, ed esponevo i miei dubbi sulle enclavi del Marocco nel comune di Torino, che la mia ex-amica disse: "Che ridere! Sono razzisti tra di loro! (meridionali e marocchini ndr)".
Non voglio andare avanti, perché in fondo sappiamo che sotto tutto questo c'è un puttanaio enorme, fatto di centocinquant'anni gestiti così, e continueremo a metterci le fette di salame sugli occhi, a nascondere la polvere sotto il tappeto, anche se sappiamo che sotto il tappeto una montagna di polvere si vede lo stesso.
Semplicemente al Sud non abbiamo lo Stato.
Voglio essere chiaro e perentorio: non intendo lo Stato assistenziale, anzi quello ce l'abbiamo avuto e non è servito a niente.
Intendo per Stato quell'organizzazione di persone che cura, per davvero, la cosa pubblica nell'interesse comune: quello che si occupa di risolvere i problemi sociali causati dalla disoccupazione e dall'emarginazione; quello che educa e civilizza le persone dando in loro la fiducia nella cosa pubblica.
La fiducia che con il giusto impegno ed educazione vivremo meglio, perché abbiamo già di che mangiare, ed il lavoro non mancherà mai, ed anche se ci fosse una crisi, puoi star certo che devi solo avere un po' di pazienza perché si risolverà e non sarai costretto ad emigrare.
Uno Stato che agevola gli imprenditori onesti a fare soldi, a patto che li facciano girare, creando occupazione.
In sostanza uno Stato nella variante democratica; ma mi andrebbe bene anche una monarchia di tipo paternalistico (quello che c'era prima, in sostanza), sempre meglio dell'abbandono in cui ci troviamo oggi.
E non venite a dirmi che ci avete salvato dalla Seconda Guerra Mondiale, perché è stato Mussolini a voler partecipare.
Non ci dite che ci avete tolti dalla povertà perché non eravamo poveri, e comunque adesso anche i paesi dell'Est Europa stanno crescendo; ed i più furbi vengono direttamente ad Ovest per poi tornare "ricchi" a casa propria. Proprio come facevano tanti meridionali che andavano in Svizzera od in Germania negli anni '60.
In ogni caso non è assolutamente facile cambiare le convinzioni che ci sono state inculcate da quando eravamo bambini, e che si trascinano da un secolo e mezzo: sei nato al Sud, quindi sei arretrato. Oppure, sei nato al Nord quindi sei avanti.
Peccato che oggi i tedeschi hanno dimostrato che la valle Padana è meno avanti di loro o, come diceva De Crescenzo: "Si è sempre meridionali di qualcuno".
Buona Festa della Repubblica Italiana.